lunedì 24 dicembre 2012

IL SEITAN IN CASA, DURANTE LE FESTE




Ne avevo sentito parlare almeno 35 anni fa. E, devo dire, non mi aveva favorevolmente impressionato quel nome strano e misterioso: seitan. D’accordo, erano i tempi dell’”alimentazione alternativa”. Allora tutto quello che si opponeva alla tradizione, al potere e allo statu quo era definito sbrigativamente “alternativo”. Alternativi potevano essere la concezione del mondo, la medicina, il modo di vestire e di portare i capelli, le abitazioni, i concerti, i viaggi, le vacanze e molto altro. Ovviamente, anche le abitudini alimentari non sfuggirono a questa etichetta. Per cui, il rifiuto dei cibi industriali e la semplice richiesta di maggiori informazioni sui prodotti in commercio erano stati sbrigativamente etichettati come “alimentazione alternativa”. Roba da capelloni. Figuriamoci quando si parlava di alimenti dal nome strano che, complice la diffusione della macrobiotica, cominciavano ad arrivare sugli scaffali dei negozi (“alternativi” beninteso!) direttamente dalla tradizione orientale: tofu, tamari, umeboshi, shoyu. E seitan. Oggi tutto ciò potrebbe sembrare strano, in tempi nei quali la richiesta di cibo di qualità, prodotto localmente e senza pesare troppo sull’ambiente è ormai tranquillamente ritenuta un diritto del consumatore, perfino in qualche modo tutelato da leggi e marchi specifici. Oggi acquisto regolarmente il seitan. Lo faccio un po’ perché si tratta di un prodotto che stimola la creatività in cucina: mangiato da solo, al naturale, non è un granché, mentre elaborato con fantasia non è niente male. Ma anche perché mi consente di venire incontro alle esigenze gastronomiche della famiglia. Che pretende, a ragione, di variare il piatto di cereali e legumi che io preferirei mangiare anche tutti i giorni. Nel periodo rilassante delle feste, provate a cimentarvi nella preparazione casalinga del seitan: non è difficile (potete coinvolgere i bambini) e il risparmio è assicurato. 

Adatto a tutti e nutriente
Il seitan è un alimento ricco di proteine ricavato dal frumento, ma anche da altri cereali come farro o kamut. È un alimento interessante per chi segue una dieta vegetariana o semplicemente desidera ridurre a tavola la presenza di cibi di origine animale (carne, formaggi, uova). Il seitan contiene il 18 per cento di proteine e pochissimi grassi: poco più dell’1 per cento (e senza colesterolo). È molto digeribile e facilmente masticabile. Per questo è adatto a tutti, con l’unica ovvia limitazione per chi è affetto da celiachia e da intolleranza al glutine.


Il seitan fatto in casa

500 g di farina integrale di grano tenero biologico
mezzo bicchiere di shoyu (salsa di soia)
un pezzo di alga kombu
uno spicchio d’aglio
un pezzetto di zenzero
rosmarino
acqua q.b.

Mescolate la farina e l'acqua per ottenere un impasto molto morbido. Mettetelo in una terrina piuttosto grande e copritelo d’acqua tiepida. Lasciate riposare per 45-50 minuti, il tempo che si consolidi la rete di glutine all’interno dell’impasto. Per ottenere il glutine occorre ora separare l’amido della farina dalla parte proteica. È semplice: aprite il rubinetto della cucina, prendete l’impasto tra le mani, mettetelo sotto un filo d’acqua fredda e iniziate a lavorarlo delicatamente. L’amido sarà asportato dall’acqua che scorre via (che infatti diventa bianca). Continuate questa manipolazione dell’impasto che, a poco a poco, si ridurrà di volume e acquisterà gradatamente la consistenza spugnosa del seitan. Per finire, il seitan va cotto. Mettete un litro d’acqua in una pentola, aggiungete la salsa di soia, gli aromi e l’alga. Fate cuocere il seitan per 45 minuti. Una volta raffreddato, il seitan si conserva per qualche giorno in frigorifero coperto da un po’ del suo brodo di cottura.
(Da un mio articolo publicato sulla rivista Vita e Salute)

lunedì 17 dicembre 2012

CIOCCOLATO PER IL CUORE


Il cioccolato fa bene al cuore. Una affermazione che sarebbe stata ritenuta, fino ad una decina di anni fa, inconsueta e decisamente controcorrente. Per molto tempo, infatti, del cacao e del cioccolato si sono sottolineati soprattutto gli aspetti poco salutari come, ad esempio, la grande quantità di grassi e il conseguente importante contenuto calorico.

Il cioccolato è effettivamente un alimento molto energetico e il suo consumo è stato consigliato soprattutto agli sportivi, mentre era solo tollerato per i bambini o per i golosi e addirittura esplicitamente proibito a chi soffriva di ipertensione, cardiopatie, diabete.

Eppure, che occorresse un approfondimento su queste questioni era probabilmente suggerito non solo dal fatto che le popolazioni Maya e Azteche ritenessero la pianta del cacao un dono degli dei fatto all’umanità per alleviarne la fatica, ma anche perché gli europei del diciassettesimo secolo lodavano il cioccolato per la sua capacità guaritrice e per gli effetti benefici prodotti sul fegato, la digestione, i reni, il sangue, ecc. In quel tempo, inoltre, in concordanza con le antiche popolazioni americane (e con le scoperte più recenti) si pensava che il cacao rendesse le persone più felici e forti.

Da qualche anno, alcune ricerche scientifiche hanno evidenziato alcuni aspetti salutistici del cacao e quindi del cioccolato che ne contiene una percentuale maggiore, quello che chiamiamo fondente. Tanto che oggi il cioccolato fondente (in dosi ben definite) può essere ritenuto un alimento perfino utile per i cardiopatici e i diabetici.



Quali i vantaggi

Il consumo di cioccolato fondente (non producono invece vantaggi il cioccolato al latte e quello bianco) apporta all’organismo quantità significative di nutrienti dotati di proprietà protettrici dell’organismo e in particolare dei vasi sanguigni. Secondo dati della Società Europea di Cardiologia (agosto 2004), dopo aver consumato cioccolato fondente le sostanze antiossidanti presenti nel sangue aumentano almeno del 20%.

I flavanoli contenuti nel cacao (si tratta di un tipo di flavonoidi, composti antiossidanti e protettivi presenti in diversi altri alimenti) producono una riduzione della pressione arteriosa, migliorano la funzionalità del rivestimento più interno delle arterie (l’endotelio, una sottilissima membrana che gioca un ruolo importantissimo in tutte le patologie vascolari), riducono l’ossidazione del colesterolo-LDL (quello “cattivo”) e la tendenza delle piastrine (cellule responsabili della coagulazione del sangue) ad accumularsi e a formare trombi.

Insomma, i processi infiammatori e degenerativi che costituiscono l’inizio dell’aterosclerosi sono fortemente contrastati dal consumo di cacao.

Come se non bastasse, i flavanoli migliorano anche la sensibilità dell’organismo all’insulina e facilitano l’attività delle cellule beta del pancreas (quelle che producono l’insulina), riducendo la tendenza all’aumento della glicemia e il rischio di diabete (Journal of the American College of Cardiology 2008; 51: 2141-9 e 2150-2). 



In pratica

Volendo utilizzare (piacevolmente) il cioccolato per le sue ormai certe proprietà benefiche, come fare per evitare l’eccesso calorico che inevitabilmente deriverebbe da un consumo abbondante? È vero che molte delle sperimentazioni effettuate con il cioccolato prevedevano il consumo di una tavoletta da 100 grammi al giorno. Tuttavia, per motivi evidenti, si tratta di una quantità di cioccolato che non è possibile assumere quotidianamente. Fortunatamente risulta da diverse sperimentazioni (effettuate, tra l’altro, presso i Laboratori di Ricerca dell’Università Cattolica di Campobasso, in collaborazione con l’Istituto dei Tumori di Milano e pubblicate sulla rivista Journal of Nutrition 2008 Oct;138(10):1939-45) che il cioccolato produce i suoi effetti positivi anche (o, probabilmente, soprattutto) quando viene consumato in modesta quantità, pari a circa 6-7 grammi al giorno, corrispondenti a un cioccolatino o a un quadratino delle classiche tavolette. In effetti, per consumi superiori, i ricercatori italiani hanno osservato che gli effetti positivi tendevano ad attenuarsi molto.

Ancora una volta il segreto (antico) sta dunque nella moderazione. E nella scelta, aggiungiamo noi, di un cioccolato di qualità.




(Dal mio libro LA DIETA DEL CUORE, Edizioni ADV, Firenze) 

giovedì 13 dicembre 2012

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lunedì 10 dicembre 2012

DOLCI, MA SENZA...


Dicembre è un vero paradiso per coloro che amano i dolci. C’è una sorta di complicità collettiva, per cui in questo mese si mangiano, si regalano, si scambiano, si preparano, si acquistano dolci di tutti i generi. Senza rimorsi (per quelli c’è sempre tempo dopo le Festività) e senza riguardi, né per la linea né, spesso, per la qualità. E tanto meno per la propria salute [...] .
Perché non provare a preparare in casa, con le proprie mani e con ingredienti di qualità, alcuni dolci che consumeremo durante le feste? Potremmo perfino approfittare di questa occasione per sperimentare la realizzazione di torte, budini e biscotti senza utilizzare gli apparentemente indispensabili ingredienti di origine animale (uova, latte, burro). 

Torta di mele

350 g di farina di frumento tipo 2
40 g di amido di mais
50 g di malto di mais
50 g di tahin
250 g di latte di mandorle
3 mele grosse (possibilmente tipo renetta)
50 g di uvetta
30 g di pinoli
1 limone
1 bustina di lievito istantaneo per dolci

Mettete in una terrina le farine, il malto, il tahin e il latte di mandorle. Aggiungete la scorza grattugiata e il succo del limone. Unite infine il lievito e mescolate con cura, evitando la formazione di grumi. Pulite le mele e tagliatele a fettine. Foderate una teglia con carta da forno. Versatevi metà del composto, coprite con le mele, l’uvetta e i pinoli e stendete infine il resto del composto. Mettete in forno a 200 °C per circa 40 minuti. Accertatevi della perfetta cottura infilando al centro della torta uno stuzzicadenti: dovrà uscire asciutto.

Biscotti alle mandorle

200 g di farina di frumento tipo 2
100 g di malto di riso
100 g di mandorle
80 g di cioccolato fondente
mezzo bicchiere di olio extra vergine d’oliva
qualche cucchiaio di latte di riso (se serve)

Pulite le mandorle con uno straccio umido, tritatele e fatele tostare leggermente in una padella. Tritate il cioccolato in scaglie grossolane. Riunite in una terrina la farina, le mandorle, il cioccolato e il malto. Versate l’olio e lavorate gli ingredienti per ottenere un impasto friabile e non duro (se serve, aiutatevi con un po’ di latte di riso oppure aggiungete un po’ di farina). Formate con le mani delle palline, appiattitele in forma di biscotti e adagiatele su una placca ricoperta con carta da forno. Fate cuocere in forno a 200 °C per 10 minuti. Estraete la placca e lasciate raffreddare completamente prima di assaggiare.

Budino di riso

200 g di riso integrale
1,5 litri di latte di riso
250 g di malto di mais
1 baccello di vaniglia
la buccia grattugiata di un limone
1-2 cucchiai di cacao amaro
1-2 cucchiai di nocciole tritate e tostate
un pizzico di sale

Lavate il riso e fatelo cuocere a fuoco molto basso in una pentola coperta assieme al latte di riso, al malto, al baccello di vaniglia e un po’ di sale. Dopo circa 45 minuti controllate il grado di cottura: se il riso non è ancora molto morbido, proseguite la cottura ancora per 10 minuti, aggiungendo eventualmente un poco di acqua bollente. A cottura completata, spegnete il fuoco, togliete la vaniglia, aggiungete la buccia di limone e frullate il tutto. Versate in coppette e fate raffreddare a temperatura ambiente. Prima di servire, cospargete con il cacao e decorate con la granella di nocciole.




(Da un mio articolo publicato sulla rivista Vita e Salute)

mercoledì 5 dicembre 2012

RISO PER CARBONARI



Sembravamo proprio dei carbonari che si recavano ad una riunione segreta: singoli e coppie infagottati negli eskimo (come andava di moda allora) e grandi sciarpe che coprivano parzialmente il volto. Anche il luogo dell’incontro (un anonimo appartamento in un vicolo del centro storico) e l’ora tarda accentuavano il clima di mistero. In realtà (eravamo nell’inverno del 1975) si trattava semplicemente del primo contatto “di massa” (si fa per dire: eravamo in una ventina) con il riso integrale. Almeno nella mia città, Verona. Erano gli anni nei quali si iniziava a far strada nelle nostre coscienze la convinzione che per cambiare il mondo occorresse almeno anche un cambiamento personale, nelle abitudini e nelle scelte di tutti i giorni e quindi anche nell’alimentazione. Devo dire che, successivamente, ho imparato a cucinare il riso integrale molto meglio dei volonterosi e preveggenti padroni di casa che ci ospitarono quella sera. In effetti, quello che ci fu proposto in quella occasione fu un riso stracotto e senza un briciolo di sale. Una scelta obbligata, dissero i nostri ospiti, visto che si prevedeva che le fitte chiacchiere avrebbero impegnato i commensali molto più che le rituali cento masticazioni per ogni boccone. Quell’esperienza fu comunque proficua e anche da quella serata originò il mio interesse per l’alimentazione e per il cibo come indispensabili strumenti di benessere, di terapia e di conoscenza del mondo.
Il riso è un ottimo alimento di alta resa energetica e di facile digeribilità. Purtroppo i processi di raffinazione e di sbiancamento a cui il riso viene sottoposto ne compromettono i pregi nutrizionali. Molto meglio, dunque, consumare di preferenza, al posto del riso raffinato o brillato, quello più ricco dal punto di vista nutrizionale come, ad esempio, lo sbramato di risone (il riso integrale), il riso semigreggio (o semilavorato) e il riso parboiled.
Tra le ricette a base di riso integrale che preferisco ve ne suggerisco una di semplice realizzazione e molto saporita.

Riso con nitukè (per 4 persone)

3 bicchieri di riso integrale
2 cipolle medie
2 carote
1 gambo di sedano
1 spicchio d’aglio
2 foglie di salvia
3 cucchiai d’olio extra vergine d’oliva
1 cucchiaio di salsa di soia
1 cucchiaino scarso di sale

Lavate il riso e mettetelo in una pentola con il fondo spesso. Aggiungete un po' più del il doppio (in volume) di acqua fredda e il sale. Fate alzare il bollore, abbassate il fuoco al minimo e, a pentola coperta, proseguite la cottura per 60 minuti. Nel frattempo, pulite le verdure, affettate le cipolle, tagliate a cubetti le carote e il sedano. Mettete il tutto in un tegame largo, assieme all’aglio schiacciato, alla salvia e a due cucchiai d’olio. Fare scaldare a fuoco allegro per 2-3 minuti, aggiungete la salsa di soia, mescolate, abbassate la fiamma, coprite e fate cuocere ancora per 10 minuti rimestando di tanto in tanto. Quando le verdure sono morbide, unitevi il riso, aggiungete un cucchiaio d’olio crudo, mescolate bene e servite caldo. 

(Dalla mia rubrica Vegetariando sulla rivista Vita e Salute)

martedì 27 novembre 2012

FAR NOZZE CON I FICHI SECCHI



“Far nozze con i fichi secchi”. Un conosciuto proverbio popolare nel quale si sottolinea che una festa non può essere resa solenne solo servendo a tavola dei fichi secchi. Devo dire la verità, questo detto non mi ha mai convinto del tutto. È vero che per molti secoli i fichi secchi sono stati soprattutto l’alimento dei poveri, di coloro che faticavano tutto il giorno nei campi. Pane e fichi secchi, dunque, come sinonimo (soprattutto nel nostro meridione) di vita grama e stentata. È evidente che, in quei tempi, i fichi secchi erano buoni per chi non si poteva permettere quotidianamente carni, salumi, formaggi e altri alimenti “da ricchi”. Quando la separazione sociale tra i signori e chi doveva faticare per vivere era netta, la semplice presenza di un alimento sulla tavola dei poveri bastava, con una incauta applicazione della proprietà transitiva, per definirlo di scarsa qualità nutrizionale (un po’ quello che è successo per il pane nero, i cavoli, le rape e i fagioli). Tuttavia, ripeto, mi permetto di dissentire da questa interpretazione visto che, almeno per me, i fichi secchi sono sempre stati associati alla festa. Anzi, alle Feste. Nella mia città, il 13 di dicembre, S.Lucia con l’aiuto del suo asinello porta i regali ai bambini buoni. Tradizione antichissima, tenuta viva (anche nei tempi difficili) per la gioia dei genitori e dei nonni (prima che dei bambini). Accanto al giocattolo, era (è) immancabile il piatto con alcuni dolci. I miei genitori hanno sempre preparato i piatti di S.Lucia per tutti i figli. Non dimenticando mai di mettere un po’ di fichi secchi accanto al cioccolato, alle arance e a qualche pasta frolla. Fichi secchi che poi mi facevo durare, con un po’ di fatica, almeno fino all’Epifania. Altro che alimento volgare (nel senso del volgo, della plebe, della povera gente…)! Provateli, i fichi secchi, e fateli provare ai vostri figli (che, in molti casi, non ne sospettano nemmeno l’esistenza).

Fichi secchi al cioccolato

250 g di fichi secchi
100 g di cioccolato fondente (almeno 75-80% di cacao)
Una manciata di mandorle tostate
2-3 cucchiai di latte di mandorla

Mettete in un pentolino il cioccolato spezzettato e fatelo sciogliere a bagnomaria con l’aiuto di un po’ di latte di mandorle. Spingete dentro ogni fico una mandorla e, tenendolo per il picciolo, immergetelo nel cioccolato fuso. Disponete man mano i fichi ricoperti di cioccolato su un piatto e lasciateli raffreddare.


(Dalla mia rubrica Vegetariando sulla rivista Vita e Salute)