Se chiudo gli occhi e mi concentro un po’, la sensazione
riaffiora ancora e mi riempie il naso. Esattamente
come 50 anni fa. Tra maggio
e giugno, la sera con il fresco passava sotto casa un carretto trainato da un
cavallo e colmo di cassette di fragole. Era diretto al mercato ortofrutticolo e
spandeva un aroma dolce, quasi stordente. Che non sfuggiva ai miei amici che,
seguendo il carro, riuscivano a sottrarre al volo qualche fragola. Giochi innocenti,
una sfida euforica che anticipava la gioia per la fine dell’anno scolastico e
le vacanze ormai prossime.
Una decina di anni più tardi, lavorando nello stesso
mercato ortofrutticolo, mi capitava il mattino presto di scaricare un camion di
ortaggi (veniva dai dintorni di Chioggia, terre vocate all’orticoltura di
qualità). Ricordo con piacere le cassette di prezzemolo: erano leggere (provate
con quelle di patate…) e ci affondavo la faccia. La sensazione di frescura e
l’aroma delicato del prezzemolo sono ricordi ancora vivi. A distanza di molti
lustri.
Andando a scuola passavo davanti al forno del pane.
Qualche volta, ma proprio qualche volta, per la merenda di metà mattina potevo
acquistare un panino con l’uva. Solo spingere la porta per entrare era un regalo:
aspirare quell’aria satura di aromi deliziosi confortava e costituiva un buon
viatico per le ore di scuola, non sempre piacevoli.
Vi capita, adesso, di sentire l’odore buono del cibo
passeggiando per la strada? A me no. E nemmeno al supermercato, a sentir loro
il tempio della freschezza e della genuinità. Anzi, lì avverti l’aroma finto
del pane appena sfornato, diffuso nell’aria con abile strategia di marketing.
Altrimenti, chi lo comprerebbe quel povero impasto, parzialmente cotto a
migliaia di km di distanza, surgelato e poi rifinito (doratura, la chiamano)
poco prima di essere venduto? Una vera schifezza, che non dura buona nemmeno
finché arrivi a casa.
È scomparso l’aroma del cibo, ma sono spariti anche
coloro che lo preparano (chi ha coltivato quello che mangiamo?) e il luogo di
produzione (da dove arrivano queste zucchine? Dalla Spagna… Boh…).
Andate alla ricerca di qualche contadino vicino a voi che
vi venda i piselli freschi. Prendetevi un po’ di tempo, tutto quello che ci
vuole, per preparare questo piatto. E gustatevelo con calma. Vi riconcilia con
il mondo.
Tagliatelle con
piselli freschi all’aroma di maggiorana (4 porzioni)
1,5 kg di piselli (una volta sgranati ve ne resteranno circa 500 grammi)
1,5 kg di piselli (una volta sgranati ve ne resteranno circa 500 grammi)
250 g di farina integrale di grano duro
100 g di farina di frumento semintegrale
5 cipollotti freschi
4 pomodori tipo S. Marzano
2 rametti di maggiorana
4 cucchiai d’olio extra vergine d’oliva
sale
Mescolate le due
farine, aggiungete un pizzico di sale e impastate con un po’ d’acqua tiepida. Ottenuta
una palla piuttosto soda, ma elastica, avvolgetela in una tela e fatela
riposare 30 minuti. Nel frattempo scaldate l’olio e aggiungete i cipollotti
affettati finemente, fateli stufare a fuoco basso per una decina di minuti e
unite i piselli e i pomodori a pezzetti. Aggiungete qualche cucchiaio d’acqua
calda e fate cuocere per 20-30 minuti. L’acqua dovrebbe asciugarsi e i piselli
mantenere una certa consistenza (quelli novelli si possono mangiare anche
crudi). Spegnete il fuoco e profumate con la maggiorana. Salate il necessario.
Se siete capaci,
tirate la sfoglia con il matterello. Altrimenti (e senza infamia, che fate
pur sempre parte di una minoranza di privilegiati che si sa onorevolmente arrangiare in
cucina) usate pure la macchinetta e ricavatene delle tagliatelle. Fatele
cuocere per un paio di minuti in acqua salata. Scolatele non troppo e conditele
con i piselli. Ogni boccone vi rammenta che la buona stagione è arrivata.
(Da un mio articolo pubblicato sulla rivista Vita e Salute)
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