Il suggerimento della
dieta macrobiotica di preferire gli alimenti tipici del luogo dove si vive mi è
sempre sembrato pieno di buonsenso. Cosa fanno gli animali selvatici, quelli
che stanno bene e non hanno bisogno di medicine e di veterinari? Mangiano
quello che la natura rende disponibile in quel momento e in quel luogo. Un
comportamento non molto diverso da quello adottato anche dalla specie umana,
almeno fino a qualche decennio fa. Oggi si dice “cibo a km0” per indicare
l’opportunità (per la salute, l’ambiente, l’economia) di consumare alimenti
locali e di stagione. In fondo, un modo aggiornato per definire lo stesso comportamento
suggerito dalla macrobiotica. Mi sono sempre domandato se la salutare dieta
mediterranea fosse adatta anche a quelle popolazioni che, vivendo nelle regioni
settentrionali del nostro continente, non dispongono dei cibi tradizionali
mediterranei. Spaghetti al pomodoro, cuscus con ceci, parmigiana di melanzane
anche lungo il circolo polare artico? Sembra proprio non sia necessario. I
risultati di uno studio effettuato su circa 5000 finlandesi e pubblicato nel 2012 sul British Journal of
Nutrition confermano che coloro che adottano la dieta
tradizionale di quei territori (basata su mele e frutti rossi, radici, cavoli, orzo, pane di segale e di avena,
latte e derivati parzialmente scremati, olio di colza, salmone e aringa, con riduzione/esclusione
di carni rosse, salumi, burro e alcol) mantengono un peso più fisiologico e un
minor rischio di patologie metaboliche e degenerative.
(Da un mio articolo pubblicato sulla rivista Vita e Salute)
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