Si è ormai conclusa, dalle nostre parti, la
mietitura e la trebbiatura del frumento. Oggi macchine moderne,
manovrate da un
solo operatore chiuso in cabina, portano a termine asetticamente questa
incombenza. Quando ero ragazzo, la finestra della mia cucina si affacciava su
una antica e allora attivissima corte agricola, la corte dei Bianconi. Mano a
mano che si avvicinava la metà di giugno entravo in fibrillazione. Non solo
perché l’anno scolastico arrivava finalmente alla conclusione e si schiudeva la
radiosa e lunga stagione delle vacanze. Ma anche perché nella corte dei
Bianconi arrivava la trebbiatrice, un imponente arnese in legno e ferro,
colorato di rosso e giallo, più grande di un autotreno. Quando la trebbiatrice entrava
in funzione, tra pulegge rotanti, larghe cinghie di collegamento con il
trattore, un rumore infernale e una nuvola di polvere, io sapevo che se non
volevo tirarmi addosso le urla preoccupate di chi stava faticosamente lavorando
(alle quali seguiva ovviamente l’ordine di rientrare in casa), dovevo stare
buono e seminascosto in un angolo ad osservare. Tanto mi bastava. Anche perché
lo spettacolo era, ai miei occhi e alle mie orecchie, veramente imponente. Nulla
sapevo del frumento e del ruolo fondamentale che da millenni questo cereale
svolgeva nell’alimentazione umana, ma il rituale scenografico e grandioso della
trebbiatura me ne faceva intuire l’importanza.
Rispetto ad allora il frumento che cresce nei campi è
diventato più basso: dai 130-150 centimetri degli anni Sessanta ai 70
dell’attuale frumento ibrido Creso e derivati (il che ha reso impossibile, tra
l’altro, giocare a nascondino nei campi di grano). Un’ultima questione ha a che
fare con le proteine contenute nel grano (forse non lo sapevate, ma il frumento
fornisce da solo un quarto di tutte le proteine della dieta umana globale). Ricercatori
dell'università della California (NatureClimate Change online 6 Aprile 2014) hanno scoperto che l’aumento delle
concentrazioni di anidride carbonica nell'aria (una delle conseguenze
dell’inquinamento) limita la capacità dei vegetali di produrre proteine. In
particolare, si può osservare una riduzione media del 3% della disponibilità di
proteine di origine vegetale per l'alimentazione umana. Non è una bella
notizia.
Melanzane ripiene con bulghur al pomodoro e olive (4
porzioni)
Un bicchiere di
bulghur
5 pomodori ben maturi
4 melanzane lunghe
80 g di olive nere
30 g di mandorle
30 g di semi di
girasole
uno spicchio d'aglio
olio extra vergine
d’oliva
sale
Coprite il bulghur
con due bicchieri di acqua. Aggiungete un pizzico di sale e fate sobbollire a
pentola coperta per 20 minuti.
Nel frattempo,
eliminate i piccioli dalle melanzane, lavatele e tagliatele tagliate a
metà per il lungo. Con un coltello affilato scavate la polpa lasciandone mezzo
centimetro attaccata alla buccia. Salate le melanzane e sistematele capovolte in
uno scolapasta per far perdere il succo. Tritate l'aglio e fatelo scaldare con
2 cucchiai d'olio, aggiungete la polpa tritata delle melanzane, salate e fate
cuocere a fuoco basso per qualche minuto.
Lavate i pomodori, eliminate i semi e tagliateli a cubetti. Tritate
le olive. Polverizzate in un tritatutto le mandorle e i semi di girasole.
Mettete in una ciotola il bulghur, la polpa cotta, le olive, i dadini di
pomodoro e i semi polverizzati e mescolate con cura. Sciacquate rapidamente le
melanzane, asciugatele con un telo e farcitele con il composto. Disponetele in
una teglia foderata con carta da forno, condite con un filo d’olio e infornate
a 180 °C per almeno mezz’ora. Consumatele a temperatura ambiente dopo almeno
3-4 ore.
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